Inception di Christopher Nolan continua a ispirare le serie televisive. Chi si è perso la prima e la seconda parte, può andare qui e qui. Stavolta il telefilm che si ispira al film di Nolan è Legends of Tomorrow.
Nella seconda stagione le leggende sono alla ricerca della Lancia del Destino, ma anche La legione del destino, composta da Eobard Thawne, Damien Darhk e Malcom Merlyn, vuole lo stesso manufatto. I tre villain fanno il lavaggio del cervello a Rip Hunter e lo fanno diventare cattivo affinché collabori con loro.
A un certo punto i nostri eroi lo catturano e lo mettono in una cella all'interno della Waverider. Non hanno fatto i conti che, essendo sua l'astronave, Gideon è costretta a obbedire, attraverso dei specifici input. Così, l'ex leader delle leggende, dopo essersi liberato dalla sua cella, distrugge il medaglione con cui gli eroi cercano i vari componenti della lancia del destino, e danneggia in modo grave l'astronave.
Così, in Land of the lost si hanno due diverse storyline: nella prima Raymond, Nate e Amaya sbarcano per cercare un componente per riparare l'astronave, mentre nella seconda Sara e Jax cercano di scoprire dove trovare l'ultimo componente della lancia. La prima storyline si ispira chiaramente a Jurassic Park, mentre invece la seconda ricalca proprio Inception.
Essendo stato distrutto il medaglione, Sara e Jax decidono di entrare nella mente di Rip Hunter per scoprire l'ubicazione dell'ultimo componente della lancia e ritrovare anche il lato buono del Time Master.
Attraverso un dispositivo, loro si ritrovano nell'inconscio del loro ex-leader. Il modo in cui sono collegati tutti e tre attraverso questo congegno non può che farci venire il modo in cui erano collegati il team di Cobb con la loro vittima, Fischer. L'inconscio di Rip Hunter viene rappresentato poi come se fosse la sua astronave. La sua mente ha però delle difese, rappresentate dagli uomini di Vandal Savage e dalle versioni cattive dei suoi ex-compagni, e, come qualcuno ricorderà, anche la mente di Fischer aveva delle difese che Cobb e i suoi compagni dovevano superare.
Sara e Jax hanno inoltre un congegno collegato al polso che, attraverso un piccolo elettroshock, li fa ritornare alla realtà, come i calci di Inception. Altrimenti rimarrebbero bloccati per sempre nella mente del Time Master, che era più o meno la stessa sorte di Cobb e Saito ossia finivano nel limbo. E come veniva rappresentato il subconscio più profondo di Fischer? Come un'enorme cassaforte blindata. Così, nel suo subconscio il Rip Hunter buono si ritrova prigioniero in una cella.
Nel suo subconscio Rip Hunter incontra inoltre in versione umana Gideon (interpretata da Amy Pemberton, la stessa che dà la voce all'intelligenza artificiale). Non è la prima volta che un Signore del tempo incontra in forma umana la sua astronave. Per chi non sa di cosa parli, andatevi a vedere La moglie del dottore della serie Doctor Who. Tra l'altro lo stesso Arthur Darvill, l'interprete di Rip Hunter, compariva in quell'episodio. Gideon è la dimostrazione che anche le astronavi possono essere gnocche.
L'Arrowverse non è la prima volta che si ispira a Inception. Nella prima stagione di The Flash, precisamente ne La trappola, Cisco, attraverso i sogni lucidi, gli stessi che usava Cobb per entrare nella mente delle sue vittime, rivive il momento in cui viene ucciso da Harrison Wells in un'altra time line. Prima di addormentarsi Cisco chiede "Is this Inception or Dreamscape?"La risposta è ovvia. E' Inception.
Il mio modo di vedere le cose
sabato 11 marzo 2017
giovedì 2 marzo 2017
Terroristi da Oscar
Gli Oscar 2017 verranno ricordati soprattutto per l'errore di Warren Beatty nel dire il titolo sbagliato del film vincitore come miglior film: La La Land al posto di Moonlight. Si è parlato molto di questa gaffe in questo periodo, ma nessuno parla di un Oscar dato a un particolare corto documentario, The White Helmets di Orlando von Einsiedel. Alcuni giorni prima della cerimonia si è sentito parlare molto di questo titolo perché il direttore della fotografia di questo film, Khaled Khateeb, essendo siriano, non ha potuto partecipare alla premiazione per via del muslim ban di Trump.
Ma di cosa parla effettivamente questo corto documentario? Come dice il titolo stesso, White Helmets documenta le gesta di questi caschi bianchi ossia volontari siriani che che si occupano di soccorrere i civili sotto i bombardamenti. Non c'è bisogno che vi dica che in Siria è in corso un conflitto e le vittime sono quasi sempre i bambini. La famosa foto che ritrae un bambino ferito all'interno di un'ambulanza è diventata simbolo di questo conflitto. Questi caschi bianchi, dunque, sono dei veri eroi, qualcuno penserà. Si sta perfino pensando di candidare questi eroi al premio nobel per la pace. E se la verità fosse un'altra?
In realtà i caschi bianchi non sono altro che terroristi. Questi "eroi" lavorano a stretto contatto con Al Qaeda. I salvataggi a opera dei caschi bianchi non sarebbero altro che dei falsi. C'è un video dove si vedono due volontari e una persona incastrata tra le macerie. Sono tutti e tre immobili all'inizio, come se dovessero fare una mannequin challenge, e poi si muovono come fosse un vero video di salvataggio. C'è chi può non credere a un video del genere, ma perché fare una mannequin challenge su una cosa in cui non si dovrebbe scherzare come il conflitto in Siria? L'unica spiegazione è che i soccorsi, a opera dei caschi bianchi, sono delle messe in scene. Direi che gli Oscar se lo sono meritati, no?
E il fotografo che ha scattato la già citata foto del bambino all'interno dell'ambulanza? Si è fatto un selfie con uomini armati che hanno partecipato all'esecuzione di un bambino. Devo dire che questo fotografo frequenta cattive compagnie.
Questo video di Vanessa Beeley è esaustivo nello spiegare la vicenda di questi caschi bianchi. Eroi o carnefici? A voi l'ardua sentenza.
Quindi, perché è stato premiato con un Oscar un documentario in cui vengono risaltati questi caschi bianchi come eroi? Cerchiamo di capire il perché. Riporto le parole di una giornalista, la stessa Vanessa Beeley.
This organization is a fraudolent shadow-state construct created by NATO to simply propagate the propaganda that will demonize Assad's government and also demonize Russian legal intervention in Syria.
Il documentario in questione, dunque, non è altro che cinema di propaganda. Siamo ritornati ai tempi del neonazismo in cui Hitler usava il cinema come propaganda e Gobbels, ministro della cultura e della propaganda, produceva i film della regista Leni Riefenstahl. Se non sapete cos'è il cinema di propaganda, vedetevi i film della Riefenstahl oppure c'è Tarantino che la racconta a modo suo in Bastardi senza gloria. Ritornando all'Oscar di White Helmets, penso che abbiano dato questo premio affinché il corto documentario ricevesse una maggiore diffusione e quindi più gente creda a questa menzogna. La politica che prende il sopravvento sull'arte.
C'è poi questo inquietante scenario. Essendo il documentario distribuito da Netflix, chi è abbonato a Netfix, sta a sua volta finanziando questi terroristi? Mi spiego meglio. La distribuzione funziona in questa maniera: la distribuzione, in questo caso Netflix, compra il film dalla produzione, ossia i terroristi. Da dove vengono i soldi che Netflix usa per comprare il film in questione? Dagli abbonati stessi.
Perché a volte la verità non basta. A volte la gente merita di più. A volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata.
Ma di cosa parla effettivamente questo corto documentario? Come dice il titolo stesso, White Helmets documenta le gesta di questi caschi bianchi ossia volontari siriani che che si occupano di soccorrere i civili sotto i bombardamenti. Non c'è bisogno che vi dica che in Siria è in corso un conflitto e le vittime sono quasi sempre i bambini. La famosa foto che ritrae un bambino ferito all'interno di un'ambulanza è diventata simbolo di questo conflitto. Questi caschi bianchi, dunque, sono dei veri eroi, qualcuno penserà. Si sta perfino pensando di candidare questi eroi al premio nobel per la pace. E se la verità fosse un'altra?
In realtà i caschi bianchi non sono altro che terroristi. Questi "eroi" lavorano a stretto contatto con Al Qaeda. I salvataggi a opera dei caschi bianchi non sarebbero altro che dei falsi. C'è un video dove si vedono due volontari e una persona incastrata tra le macerie. Sono tutti e tre immobili all'inizio, come se dovessero fare una mannequin challenge, e poi si muovono come fosse un vero video di salvataggio. C'è chi può non credere a un video del genere, ma perché fare una mannequin challenge su una cosa in cui non si dovrebbe scherzare come il conflitto in Siria? L'unica spiegazione è che i soccorsi, a opera dei caschi bianchi, sono delle messe in scene. Direi che gli Oscar se lo sono meritati, no?
E il fotografo che ha scattato la già citata foto del bambino all'interno dell'ambulanza? Si è fatto un selfie con uomini armati che hanno partecipato all'esecuzione di un bambino. Devo dire che questo fotografo frequenta cattive compagnie.
Questo video di Vanessa Beeley è esaustivo nello spiegare la vicenda di questi caschi bianchi. Eroi o carnefici? A voi l'ardua sentenza.
Quindi, perché è stato premiato con un Oscar un documentario in cui vengono risaltati questi caschi bianchi come eroi? Cerchiamo di capire il perché. Riporto le parole di una giornalista, la stessa Vanessa Beeley.
This organization is a fraudolent shadow-state construct created by NATO to simply propagate the propaganda that will demonize Assad's government and also demonize Russian legal intervention in Syria.
Il documentario in questione, dunque, non è altro che cinema di propaganda. Siamo ritornati ai tempi del neonazismo in cui Hitler usava il cinema come propaganda e Gobbels, ministro della cultura e della propaganda, produceva i film della regista Leni Riefenstahl. Se non sapete cos'è il cinema di propaganda, vedetevi i film della Riefenstahl oppure c'è Tarantino che la racconta a modo suo in Bastardi senza gloria. Ritornando all'Oscar di White Helmets, penso che abbiano dato questo premio affinché il corto documentario ricevesse una maggiore diffusione e quindi più gente creda a questa menzogna. La politica che prende il sopravvento sull'arte.
C'è poi questo inquietante scenario. Essendo il documentario distribuito da Netflix, chi è abbonato a Netfix, sta a sua volta finanziando questi terroristi? Mi spiego meglio. La distribuzione funziona in questa maniera: la distribuzione, in questo caso Netflix, compra il film dalla produzione, ossia i terroristi. Da dove vengono i soldi che Netflix usa per comprare il film in questione? Dagli abbonati stessi.
Perché a volte la verità non basta. A volte la gente merita di più. A volte la gente ha bisogno che la propria fiducia venga ricompensata.
lunedì 7 novembre 2016
Black Mirror: Uno spaventoso riflesso
"Si, ma adesso non riescono a fare a meno dei loro compagni. Rispecchiano ciò che siamo. Tutto ciò che ci riguarda", sottolinea Blue alla sua collega in Odio Universale (Hated in the Nation), l'episodio finale della terza stagione di Black Mirror. Per compagni lei intende gli smartphone, ma il termine si potrebbe estendere anche ai tablet e ai computer. Sono loro gli specchi neri che danno il titolo alla serie di fantascienza creata da Charlie Brooker.
E' stata distribuita recentemente su Netflix la terza stagione di Black Mirror. Sono sei episodi, diversamente dalle prime due stagioni che ne avevano tre a stagione più un ottimo speciale natalizio, Bianco Natale (White Christmas). Rimane sempre il tema conduttore di tutta la serie: il rapporto tra l'uomo e la tecnologia. Si racconta di una tecnologia sempre invasiva.
Lo scenario mostrato in Caduta libera (Nosedive) è un mondo dove la gente è ossessionata dai social network. Tutti girano con uno smartphone e danno i voti alle persone che incontrano. Non si può fare a meno di far risaltare la propria immagine sulla rete per avere più voti. Chi ha un voto basso, tipo sotto il tre, viene discriminato nella società. L'immagine che ci colpisce maggiormente di questo episodio è Lacie (Bryce Dallas Howard) che si guarda nello specchio e fa una risata finta per avere più stelle. Sui social network non siamo veramente noi stessi, fingiamo per avere l'approvazione di tutti e per sentirci amati. Questo scenario non è molto lontano dalla realtà. Una realtà dove la nostra reputazione cresce in base ai like che riceviamo su Facebook.
La tecnologia diventa ancora invasiva in Giochi pericolosi (Playtest). Il protagonista usa le applicazioni del proprio telefono cellulare in ogni aspetto della sua vita, dal rimorchiare le ragazze al cercare un lavoro, tranne per per la cosa più basilare: rispondere alla chiamate della madre. La vita stessa diventa un'app. Cooper (Wyatt Russell) vive come se fosse dentro un videogioco. Gli riesce difficile a distinguere il mondo reale da quello virtuale. Lo smartphone viene visto come un'interferenza nella nostra vita. Brooker qui si addentra nell'horror. Dobbiamo avere paura di questi specchi neri.
Odio universale chiude il cerchio. Se in Caduta libera si usavano i social network per farci sentire amati, qui vengono usati per per incitare all'odio. L'autore britannico ci mostra come Twitter e gli hashtag possano portare la morte a delle persone. Si parla quindi di gogna mediatica e cyberbullismo che spingono spesso le vittime a gesti di suicidio, argomenti purtroppo sempre attuali. L'odio è come un hashtag: c'è sempre qualcuno che inizia e poi si diffonde. Anche quando sono accessi, gli schermi dei cellulari e dei computer sono neri. Mostrano il peggio di noi.
Black Mirror non è solo una serie televisiva, è il riflesso cupo di una società che ci fa paura. Anche se ci spaventa, va vista. Abbiamo bisogno di vedere questo lato oscuro di questo mondo tecnologico. Alla fine di un tunnel c'è sempre la luce e ,chissà, un giorno questo specchio nero non sarà più nero, ma luminoso.
martedì 11 ottobre 2016
La gloria dei Bastardi senza gloria - Primo capitolo
Questa è la prima parte dell'analisi di Bastardi senza gloria di Quentin Tarantino e un po' di gloria ce l'hanno se questo film è un capolavoro, no? Saranno cinque parti come sono i cinque capitoli del film.
Iniziamo a destrutturare il primo capitolo. Chi non l'avesse visto può vederlo qui.
I nazisti arrivano finalmente. Un ufficiale scende dalla macchina e ordina ai suoi uomini di rimanere
al suo posto. Da notare che l'ufficiale è accompagnato da tre uomini come sono tre le figlie del contadino. Questo è un dettaglio non trascurabile come vedremo più avanti.
L'ufficiale va dal contadino e si presenta. Scopriamo adesso che l'uomo si chiama Perrier LaPadite e il nazista si chiama Hans Landa, colonnello delle SS. Dopo le presentazioni i due entrano in casa. Da notare che i due personaggi parlano tra loro in francese e anche questo è un dettaglio che non si può trascurare.
Le figlie escono. Adesso ci sono solo Landa e LaPadite. Ora la scena viene strutturata come se fosse una piece teatrale a due. Notare bene la posizione di Landa e LaPadite. Il primo sta a sinistra e il secondo a destra.
Landa chiede il permesso per continuare la conversazione in inglese perché la sua conoscenza di francese è limitata e così i due incominciano a parlare in inglese. Tarantino fa questa scelta perché molto probabilmente non vuole stancare il pubblico americano con i sottotitoli, ma in realtà dietro a questa scelta c'è altro.
Lo scavalcamento di campo è voluto ed è per sottolineare il cambio di beat. C'è quindi un turning point in questa scena. Quando ci viene presentato il personaggio di Shoshanna, un movimento di macchina ci mostra delle persone nascoste sotto le assi di legno della casa. Sono i Dreyfuss e Tarantino si sofferma proprio su Shoshanna. Sono loro il turning point della scena.
Iniziamo a destrutturare il primo capitolo. Chi non l'avesse visto può vederlo qui.
Il primo capitolo può essere benissimo un film di venti minuti e il titolo potrebbe essere C'era una volta nella Francia occupata dai nazisti (Once upon a time in Nazi-occupied France) che rimanda ai film di Sergio Leone. Infatti, Tarantino ha girato questo film di guerra come se fosse uno spaghetti western.
La prima inquadratura che vediamo è un campo lungo dove vediamo un uomo che taglia la legna e una donna che stende i panni e poi appare la scritta sotto che dice 1941. Si noti bene come l'immagine è ben composta. L'equilibrio è dato dalla casa e dall'albero. Questa è una delle tante inquadrature del film che ha un'eccellente fotografia e infatti Robert Richardson ha avuto una nomination all'oscar per Bastardi senza gloria.
In questi primi secondi non ci sono dialoghi, ma solo i rumori prodotti dall'uomo che taglia la legna (suoni tra l'altro che iniziamo a sentire quando c'è ancora il nero) e dalla donna mentre stende i panni. Oltre a questi rumori iniziamo a sentire anche quello di un motore. Raccontare una scena attraverso solo i rumori può essere benissimo un rimando alla scena iniziale di C'era una volta nel West di Sergio Leone.
Appena la donna sente il rumore del motore, sposta il lenzuolo e vediamo sullo sfondo dei veicoli che arrivano. La genialità di Tarantino è che ha usato il lenzuolo per rivelare la minaccia dei nazisti che incombe e lo vediamo attraverso il punto di vista della donna. Se prima c'era un equilibrio, ora è rotto dall'arrivo dei nazisti che può benissimo essere l'incidente scatenante.
Dal momento che lei scosta il lenzuolo incominciamo a sentire anche la musica, The Verdict di Ennio Morricone, che sottolinea la minaccia dell'arrivo dei nazisti. In questo momento musicale si può inoltre notare benissimo un rimando a Per Elisa di Ludvig Van Beethoven, guarda caso un compositore tedesco e quindi non può che musica adatta per accompagnare l'arrivo di un gruppo di tedeschi.
Sentiamo adesso la prima battuta del film:"Papà". Lei è la figlia dell'uomo e qualche secondo dopo vediamo le altre due figlie che escono da casa. Il padre ordina a loro due di rientrare a casa e anche alla terza figlia non prima di avergli preparato l'acqua con cui può lavarsi. Ora è il solo ad attendere che arrivino i nazisti.
Notiamo adesso come Tarantino passa dal primo piano al primissimo piano del padre. In questo modo si accentua l'ansia dell'uomo che non è proprio felice di vedere questi nazisti.
I nazisti arrivano finalmente. Un ufficiale scende dalla macchina e ordina ai suoi uomini di rimanere
al suo posto. Da notare che l'ufficiale è accompagnato da tre uomini come sono tre le figlie del contadino. Questo è un dettaglio non trascurabile come vedremo più avanti.
Ad attendere i due ci sono le tre figlie di LaPadite. Landa si sieda al tavolo e chiede in modo gentile a una delle figlie di portargli un bicchiere di latte. Nel frattempo si può notare lo scambio di sguardi tra una figlia e il padre per accentuare la loro preoccupazione, come se avessero qualcosa da nascondere.
Le figlie escono. Adesso ci sono solo Landa e LaPadite. Ora la scena viene strutturata come se fosse una piece teatrale a due. Notare bene la posizione di Landa e LaPadite. Il primo sta a sinistra e il secondo a destra.
Landa chiede il permesso per continuare la conversazione in inglese perché la sua conoscenza di francese è limitata e così i due incominciano a parlare in inglese. Tarantino fa questa scelta perché molto probabilmente non vuole stancare il pubblico americano con i sottotitoli, ma in realtà dietro a questa scelta c'è altro.
Geniale come adesso ci viene detto che tipo di lavoro fa Landa. Non è lui che lo dice, ma LaPadite e attraverso le parole del contadino francese che scopriamo che Landa è un cacciatore di nazisti. Sarebbe alquanto banale se lo avesse detto Landa stesso, ma in questo modo è un secondo personaggio a presentare il primo. Una cosa simile avveniva anche nella scena iniziale de Il cavaliere oscuro (The Dark Knight) di Christopher Nolan dove ci veniva presentato il personaggio di Joker attraverso le parole dei suoi complici.
Landa si comporta in modo gentile con LaPadite. Tira dalla sua borsa dei fogli e una penna e incomincia a fare delle domande al contadino. Vediamo che non si comporta come uno spietato nazista, ma come un burocrate cortese. LaPadite chiede se nel frattempo può fumarsi la pipa e Landa gentilmente gli dice "Please, Monsier LaPadite, it's your house, make yourself comfortable." Ci viene ancora sottolineata la gentilezza di questo nazista.
Il focus di questa conversazione è la famiglia Dreyfuss, una famiglia di ebrei che risiedevano nella stessa area dove risiede LaPadite e ora pare che siano scomparsi. LaPadite dice a Landa dei rumors che ha sentito: i Dreyfuss sarebbero ora in Spagna. Tarantino adesso non ritorna su Landa e non vediamo quindi la sua reazione. Quindi, non sappiamo se lui crede o no a questi rumors. Si rimane ancora su LaPadite finché Landa non gli chiede se può confermare il numero esatto della famiglia Dreyfuss e i loro nomi.
A un certo punto la camera inizia a ruotare verso sinistra finché la posizione dei personaggi cambia. Vi ricordate che all'inizio vi avevo detto che Landa stava a sinistra e LaPadite stava a destra? Ora le posizione dei personaggi è invertita: LaPadite ora sta a sinistra e Landa ora sta a destra. Attraverso quel movimento di macchina si è scavalcato il campo.
Lo scavalcamento di campo è voluto ed è per sottolineare il cambio di beat. C'è quindi un turning point in questa scena. Quando ci viene presentato il personaggio di Shoshanna, un movimento di macchina ci mostra delle persone nascoste sotto le assi di legno della casa. Sono i Dreyfuss e Tarantino si sofferma proprio su Shoshanna. Sono loro il turning point della scena.
Per continuare la nostra analisi vorrei riprendere cosa disse Hitchcock a Truffaut nella nota intervista che è stata pubblicata sotto forma di libro.
Mettiamo che alcune persone stiano chiaccherando sedute interno ad un tavolo, situazione normale, conversazione banale, ad un tratto avviene un'esplosione, il pubblico resta sorpreso ma prima dell'effetto sorpresa gli è stata mostrata una scena banale, priva di interesse.
Variamo leggermente la situazione: sotto il tavolo c'è una bomba e il pubblico lo sa, perché ha visto l'attentatore piazzarla, sa anche che entro quindici minuti esploderà perché c'è un orologio nella sala, ecco che la conversazione banale diventa molto interessante perché lo spettatore partecipa alla scena e quasi vorrebbe intervenire per avvisare i protagonisti del pericolo che stanno correndo.
Nella prima situazione il risultato sarebbero quindici secondi di sorpresa al momento dell'esplosione, nella seconda ipotesi si saranno creati quindici minuti di suspense.
Il mood della scena è cambiato. Ora noi sappiamo che sotto le assi di legno sono nascosti i Dreyfuss. Noi non vogliamo che vengano scoperti da Landa perché farebbero una brutta fine. Tarantino ha imparato bene la lezione di Hithchcock e costruisce adesso questa scena usando la suspense, ma questa non sarà l'unica scena del film strutturata in questo modo.
Visto che il mood della scena è cambiato, anche il focus della conversazione è cambiato. Non sono più i Dreyfuss il focus della conversazione, ma gli ebrei in generale. Landa paragona gli ebrei ai ratti. Piano piano incominciamo a vedere il lato nazista di Landa perché disumanizza il popolo ebreo.
Landa chiede il permesso a LaPadite per fumare anche lui la sua pipa. Il nazista tira fuori il calabash. Per chi non lo sapesse il calabash è il tipo di pipa che Sherlock Holmes fumava. Da burocrate adesso Landa diventa un detective che fa le deduzioni. Il calabash è un altro turning point e indovinate cosa fa adesso Tarantino? Un altro scavalcamento di campo per sottolineare il cambio di beat.
Landa adesso ha cambiato atteggiamento. Da gentile che era ora è diventato minaccioso. Egli sa perfettamente che LaPadite sta nascondendo i Dreyfuss in casa.
Si passa al primissimo piano di LaPadite. E' preoccupato. Per la sua incolumità e quella delle figlie deve confermare le deduzioni di Landa.
Landa chiede a LaPadite di indicare dove sono nascosti i Dreyfuss. Indica con il dito il punto esatto. Avviene un altro scavalcamento di campo. Un altro turning point.
Landa adesso chiede conferma a LaPadite se i Dreyfuss non sappiano l'inglese dal momento che non c'è stata nessuna reazione dei Dreyfuss quando LaPadite ha indicato con il dito. Il francese non può che confermare. Ora sappiamo perché Landa ha voluto passare dal francese all'inglese: per non farsi capire dalla famiglia nascosta. La lingua è un espediente narrativo che Tarantino utilizzerà anche nei capitoli successivi.
Si ricomincia adesso a parlare in francese per ingannare i Dreyfuss. Landa richiama le figlie, mentre in realtà sono i tre soldati nazisti armati. Da qui si capisce perché tre figlie e tre soldati. L'inganno viene sottolineato anche dal fatto che l'arrivo dei soldati lo vediamo attraverso i loro stivali. In questo modo i Dreyfuss credono che i soldati siano le figlie di LaPadite.
Chi ben conosce Tarantino sa che lui ama mettere la violenza nel suo cinema (in Kill Bill c'era una tale quantità di sangue che ha dovuto mettere il bianco e nero nella scena degli 88 folli). In questo capitolo, ma solo in questo capitolo, la violenza non ci viene mostrato, lo intuiamo. Non vediamo neanche sangue che esce dalle assi di legno , ma l'unica cosa che esce fuori è la polvere di legno. Non vediamo neanche i Dreyfuss mentre vengono massacrati. Tarantino posiziona la camera dall'alto per raccontare il massacro dei Dreyfuss e la drammaticità della scena viene resa anche dalla musica che si sente appena si passa al cambio di beat ovvero da quando LaPadite indica il punto esatto dove sono nascosti i Dreyfuss.
Questa è una classica composizione che si ritrova spesso nel cinema: la cornice nella cornice. C'è tanto spazio negativo e infatti il nostro occhio si focalizza sulla porta dove vediamo Shoshanna correre.
Landa adesso entra anche lui nella cornice. Condivide lo stesso spazio di Shoshanna. Questo vuol dire che lui potrebbe prenderla facilmente, ma la lascia scappare perché si diverte a giocare al gatto con topo (vi ricordate che lui aveva paragonato gli ebrei ai ratti?) e avrà occasione di catturarla in un secondo momento perché è famoso per il fatto che nessun ebreo gli sfugge.
Il primo piano di Shoshanna che corre ci accentua ancora di più la violenza drammatica che non ci viene mostrata. Il suo volto è pieno del sangue dei suoi cari.
L'ultima inquadratura è simile alla prima, anzi potrebbe dire che è proprio il controcampo della prima inquadratura. Un campo lungo dove predomina il verde. Si è ristabilito l'equilibrio iniziale.
Ecco, come si costruisce magistralmente una scena iniziale. Qui si vede la regia di Tarantino, ma il merito è anche dei due interpreti, Christoph Waltz (giustamente premiato con un oscar come miglior attore non protagonista per questo film) e Denis Ménochet. Questo è cinema.
Landa chiede a LaPadite di indicare dove sono nascosti i Dreyfuss. Indica con il dito il punto esatto. Avviene un altro scavalcamento di campo. Un altro turning point.
Landa adesso chiede conferma a LaPadite se i Dreyfuss non sappiano l'inglese dal momento che non c'è stata nessuna reazione dei Dreyfuss quando LaPadite ha indicato con il dito. Il francese non può che confermare. Ora sappiamo perché Landa ha voluto passare dal francese all'inglese: per non farsi capire dalla famiglia nascosta. La lingua è un espediente narrativo che Tarantino utilizzerà anche nei capitoli successivi.
Si ricomincia adesso a parlare in francese per ingannare i Dreyfuss. Landa richiama le figlie, mentre in realtà sono i tre soldati nazisti armati. Da qui si capisce perché tre figlie e tre soldati. L'inganno viene sottolineato anche dal fatto che l'arrivo dei soldati lo vediamo attraverso i loro stivali. In questo modo i Dreyfuss credono che i soldati siano le figlie di LaPadite.
Chi ben conosce Tarantino sa che lui ama mettere la violenza nel suo cinema (in Kill Bill c'era una tale quantità di sangue che ha dovuto mettere il bianco e nero nella scena degli 88 folli). In questo capitolo, ma solo in questo capitolo, la violenza non ci viene mostrato, lo intuiamo. Non vediamo neanche sangue che esce dalle assi di legno , ma l'unica cosa che esce fuori è la polvere di legno. Non vediamo neanche i Dreyfuss mentre vengono massacrati. Tarantino posiziona la camera dall'alto per raccontare il massacro dei Dreyfuss e la drammaticità della scena viene resa anche dalla musica che si sente appena si passa al cambio di beat ovvero da quando LaPadite indica il punto esatto dove sono nascosti i Dreyfuss.
Questa è una classica composizione che si ritrova spesso nel cinema: la cornice nella cornice. C'è tanto spazio negativo e infatti il nostro occhio si focalizza sulla porta dove vediamo Shoshanna correre.
Landa adesso entra anche lui nella cornice. Condivide lo stesso spazio di Shoshanna. Questo vuol dire che lui potrebbe prenderla facilmente, ma la lascia scappare perché si diverte a giocare al gatto con topo (vi ricordate che lui aveva paragonato gli ebrei ai ratti?) e avrà occasione di catturarla in un secondo momento perché è famoso per il fatto che nessun ebreo gli sfugge.
Il primo piano di Shoshanna che corre ci accentua ancora di più la violenza drammatica che non ci viene mostrata. Il suo volto è pieno del sangue dei suoi cari.
L'ultima inquadratura è simile alla prima, anzi potrebbe dire che è proprio il controcampo della prima inquadratura. Un campo lungo dove predomina il verde. Si è ristabilito l'equilibrio iniziale.
Ecco, come si costruisce magistralmente una scena iniziale. Qui si vede la regia di Tarantino, ma il merito è anche dei due interpreti, Christoph Waltz (giustamente premiato con un oscar come miglior attore non protagonista per questo film) e Denis Ménochet. Questo è cinema.
venerdì 12 agosto 2016
Inside No. 9
Prendete film come: Parola ai giurati, Nodo alla gola, Occhi nella notte, Clerks, Buried, Saw - L'enigmista, In linea con l'assassino, Locke, La scomparsa di Alice Creed, Dobbiamo Parlare e Perfetti Sconosciuti. Cosa accomuna tutti questi film? Il fatto di essere ambientati tutti nella maggior parte in uno spazio chiuso che può essere una bara, una macchina, un bagno o semplicemente un appartamento.
Film come questi danno un senso di claustrofobia, ma proprio per questo motivo che noi spettatori ci avviciniamo di più ai personaggi di queste storie e ai loro drammi. Ambientare storie in uno spazio ristretto è tipico del cinema (soprattutto quello indipendente) che a sua volta deriva dal teatro e infatti alcuni di questi film si ispirano a piece teatrali, ma un format di questo tipo funziona anche nella televisione. Inside No. 9 è un ottimo esempio.
Se Black Mirror raccontava del rapporto che c'è tra le persone e la tecnologia, Inside No. 9 racconta del rapporto interpersonale che intercorre tra le persone e quale luogo adatto per raccontare questo tipo di storie se non uno spazio chiuso che può essere un appartamento oppure una cuccetta di un treno ma tutti accomunati dal numero 9, da qui il titolo della serie.
Metti un gruppo di persone in un ambiente ristretto e usciranno fuori tutti i loro segreti, come ci viene raccontato nel primo episodio della prima stagione, Sardines, ambientato per lo più in un armadio che crea un vero senso di claustrofobia.
Come Black Mirror, anche Inside No. 9 è una serie antologica cioè ogni episodio è autoconclusivo, ma a differenza della serie di Charlie Brooker,ogni episodio della serie di Steve Pemberton e Reece Shearsmith è caratterizzato dal colpo di scena finale. E' una grande scrittura che esplora in modo cinico temi diversi, ma soprattutto si ride visto che siamo nella dark comedy.
Da ricordare ci sono ben due episodi sperimentali. Il primo, A Quiet Night In, come dice suggerisce il titolo stesso è un episodio privo di dialoghi, ma è presente solo una battuta in tutta la storia. Mentre nel secondo, Cold Comfort, la storia ci viene raccontata attraverso le camere di sorveglianza di un centro stile "telefono amico".
Oltre a questi due episodi, è bene menzionare 12 days of Christine, il miglior episodio di tutta la serie. Viene raccontata la vita di Christine, una comune ragazza, attraverso dodici giorni chiave della sua vita. In questi dodici giorni ci vengono narrate le paure e le speranze di questa ragazza. Alla fine la vita di Christine è la vita di tutti noi: piena di delusioni, ma anche di momenti felici, come le rammenta il padre "this is meant to be happy memory."
A differenza di tutti gli altri episodi non è divertente ma drammatico. E' un episodio perfetto da tutti i punti di vista: scrittura, regia, fotografia, recitazione, ma soprattutto dal montaggio: ho adorato come venivano raccordato le varie scene. Ce ne sarebbero da dire su questo episodio, ma dovrei spoilerare troppo e non è il caso.
Inside No. 9 è la dimostrazione che non serve un grosso budget per raccontare grandi storie ma serve soprattutto una grande scrittura e consiglierei questa serie ad aspiranti registi e sceneggiatori che vogliono cimentarsi nei cortometraggi perché alla fine ogni episodio è un cortometraggio visto che dura mezz'ora. A proposito di sceneggiatura, la BBC ha pubblicato sul suo sito le sceneggiature rispettivamente di Sardines, A Quiet Night In e 12 days of Christine. Le potete trovare qui.
Come Black Mirror, anche Inside No. 9 sta per ritornare con una terza stagione. Aspettiamoci un autunno di grandi storie.
Film come questi danno un senso di claustrofobia, ma proprio per questo motivo che noi spettatori ci avviciniamo di più ai personaggi di queste storie e ai loro drammi. Ambientare storie in uno spazio ristretto è tipico del cinema (soprattutto quello indipendente) che a sua volta deriva dal teatro e infatti alcuni di questi film si ispirano a piece teatrali, ma un format di questo tipo funziona anche nella televisione. Inside No. 9 è un ottimo esempio.
Se Black Mirror raccontava del rapporto che c'è tra le persone e la tecnologia, Inside No. 9 racconta del rapporto interpersonale che intercorre tra le persone e quale luogo adatto per raccontare questo tipo di storie se non uno spazio chiuso che può essere un appartamento oppure una cuccetta di un treno ma tutti accomunati dal numero 9, da qui il titolo della serie.
Metti un gruppo di persone in un ambiente ristretto e usciranno fuori tutti i loro segreti, come ci viene raccontato nel primo episodio della prima stagione, Sardines, ambientato per lo più in un armadio che crea un vero senso di claustrofobia.
Come Black Mirror, anche Inside No. 9 è una serie antologica cioè ogni episodio è autoconclusivo, ma a differenza della serie di Charlie Brooker,ogni episodio della serie di Steve Pemberton e Reece Shearsmith è caratterizzato dal colpo di scena finale. E' una grande scrittura che esplora in modo cinico temi diversi, ma soprattutto si ride visto che siamo nella dark comedy.
Da ricordare ci sono ben due episodi sperimentali. Il primo, A Quiet Night In, come dice suggerisce il titolo stesso è un episodio privo di dialoghi, ma è presente solo una battuta in tutta la storia. Mentre nel secondo, Cold Comfort, la storia ci viene raccontata attraverso le camere di sorveglianza di un centro stile "telefono amico".
Oltre a questi due episodi, è bene menzionare 12 days of Christine, il miglior episodio di tutta la serie. Viene raccontata la vita di Christine, una comune ragazza, attraverso dodici giorni chiave della sua vita. In questi dodici giorni ci vengono narrate le paure e le speranze di questa ragazza. Alla fine la vita di Christine è la vita di tutti noi: piena di delusioni, ma anche di momenti felici, come le rammenta il padre "this is meant to be happy memory."
A differenza di tutti gli altri episodi non è divertente ma drammatico. E' un episodio perfetto da tutti i punti di vista: scrittura, regia, fotografia, recitazione, ma soprattutto dal montaggio: ho adorato come venivano raccordato le varie scene. Ce ne sarebbero da dire su questo episodio, ma dovrei spoilerare troppo e non è il caso.
Inside No. 9 è la dimostrazione che non serve un grosso budget per raccontare grandi storie ma serve soprattutto una grande scrittura e consiglierei questa serie ad aspiranti registi e sceneggiatori che vogliono cimentarsi nei cortometraggi perché alla fine ogni episodio è un cortometraggio visto che dura mezz'ora. A proposito di sceneggiatura, la BBC ha pubblicato sul suo sito le sceneggiature rispettivamente di Sardines, A Quiet Night In e 12 days of Christine. Le potete trovare qui.
Come Black Mirror, anche Inside No. 9 sta per ritornare con una terza stagione. Aspettiamoci un autunno di grandi storie.
sabato 30 luglio 2016
La zona amici
Per i neofiti sappiate che la zona amici non è quel posto dove si ritrovano un gruppo di amici a chiacchierare tra di loro. La zona amici è quel confine che separa un uomo e una donna ad avere una relazione. Diceva il buon Max Pezzali, se sei amico di una donna non combinerai mai niente mai, non vorrai rovinare un così buon rapporto.
La zona amici esiste fin dai tempi antichi. Si narra che Apollo fosse innamorato della ninfa Dafne, figlia della naiade Creusa e del dio fluviale Ladone, ma fu respinto. Apollo non si rassegnò e incominciò a inseguire Dafne. La ninfa, ormai stremata dall'inseguimento, pregò i genitori di aiutarla e fu trasformata in un albero di alloro. Qualcuno qui direbbe che è diventata letteralmente una figa di legno.
Oggi questa zona amici è conosciuto per di più con il termine friendzone.
Oggi questa zona amici è conosciuto per di più con il termine friendzone.
La friendzone è un termine nato con il telefilm Friends dove Joey diceva a Ross che, essendo innamorato di Rachel, era nella friendzone. D'altronde in un telefilm che si chiama Friends dovrai per forza rimanere amico di una donna.
Per rimanere in tema telefilm, con la serie The Flash abbiamo la friendzone ai tempi dello sci-fi. Il protagonista, Barry Allen, è innamorato di Iris West, ma lei lo vede come un amico. A un certo punto della prima stagione riesce a uscire dalla friendzone, ma poi ritorna indietro nel tempo per rientrarci. Verso la fine della seconda stagione Barry esce di nuovo dalla friendzone, ma creando una nuova realtà alternativa ci rientra di nuovo. Poi dicono che Peter Parker è il personaggio più sfigato dei fumetti, ma anche Barry Allen non scherza.
La friendzone è ormai così diffusa che qualcuno ha deciso di creare una pagina chiamata Boom. Friendzoned, Vengono raccolte per di più conversazioni di whatsapp dove lei friendzona lui nei peggio modi. Alcune sono davvero spassose, ma altre ti fanno pensare: perché tu donna ferisci i sentimenti di lui in questa maniera?
Whatsapp ha aiutato di più a diffondere la friendzone? Se la gente si dicesse le cose in faccia, le cose forse andrebbero in modo diverso. Bei tempi quando si messaggiava solo via sms. Se mandavi un sms, non sapevi se poi il destinatario l'avesse ricevuto o letto. Ora con whatsapp e le spunte blu sai che il destinatario del tuo messaggio l'ha letto, ma non ti ha risposto. Le spunte blu saranno la rovina per il genere maschile.
I friendzonati alla fin fine possono vedere il lato positivo della cosa: anche Apollo è stato nella loro situazione e quindi possono sentirsi delle divinità. E chi lo sa, anch'io in questo periodo mi sento un po' come Apollo.
sabato 16 luglio 2016
Ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo
Quelli della mia generazione quando rovistavano nei cassetti trovavano vecchie foto, che possono essere in bianco e nero o a colori, e capivi che erano vecchie dall'immensa polvere che ricopriva la carta di queste foto.Chiedevano ai loro parenti di raccontare quelle foto. Magari quella foto è stata scattata durante il loro matrimonio oppure quando è nata la loro primogenita. E' questo il potere di una foto: raccontare una storia. La fotografia è un ricordo e racchiude quei momenti che sono stati importanti per noi.
Com'è cambiato il concetto di fotografia nell'era degli smartphone e dei vari social? Il vantaggio del digitale è che se ciò che abbiamo appena scattato non ci piace, possiamo eliminare quella foto e scattarne magari un'altra più bella. L'altra faccia della medaglia è che sì possiamo fotografare ogni cosa, ma propria ogni cosa, ma soprattutto in ogni momento.
Ma se non stampiamo quelle foto che scattiamo con i nostri smartphone, che fine fanno? Non stanno a marcire nei telefoni intelligenti. Vengono condivisi su Instagram, il social network delle foto. Lo step successivo, spesso saltando quello precedente di Instagram, è di condividere la foto su Facebook.
Tra i vari utenti che condividono le foto c'è quello che condivide la foto della patente appena presa. Molto intelligente visto che chiunque veda quell'immagine potrebbe copiare dati sensibili e clonare la patente appena presa. C'è inoltre quello che condivide la propria foto mentre sta su un letto d'ospedale. Vi pare normale che dopo aver subito un'operazione la prima cosa che pensate di fare è scattarvi una foto e condividerla su Facebook? C'è poi quello che scatta la foto al proprio piatto e la condivide subito con tutti. C'è della pasta appena cotta che potrebbe raffreddarsi e invece di mangiarla subito, pensi a scattare la foto al tuo cibo, tu non sei sano di mente. Questi sono degli esempi di casi che scattano foto che non dovrebbero essere condivise, ma c'è il caso estremo di quello che si immortala sempre e condivide quei momenti con gli amici di Facebook. Come direbbe J-Ax e Fedez, ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo. Perché condividiamo i nostri momenti sui social? La risposta ve la potrebbe dare Raymond Carver.
E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, comunque?
L'ho fatto.
E cosa volevi?
Poter dire a me stesso che sono amato, sentirmi amato qui sulla terra.
Ormai vediamo il mondo attraverso gli smartphone. Fa molto Black Mirror. I social network e gli smartphone hanno rovinato la fotografia? Ai posteri l'ardua sentenza. E se decidessimo di eliminare il nostro account di Instagram o quello di Facebook? O se il nostro smartphone si rompesse? E se avvenisse una tempesta elettromagnetica che distrugge ogni strumento elettronico in tutto il mondo. Per citare Roy Batty, tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia.
Ma se non stampiamo quelle foto che scattiamo con i nostri smartphone, che fine fanno? Non stanno a marcire nei telefoni intelligenti. Vengono condivisi su Instagram, il social network delle foto. Lo step successivo, spesso saltando quello precedente di Instagram, è di condividere la foto su Facebook.
Tra i vari utenti che condividono le foto c'è quello che condivide la foto della patente appena presa. Molto intelligente visto che chiunque veda quell'immagine potrebbe copiare dati sensibili e clonare la patente appena presa. C'è inoltre quello che condivide la propria foto mentre sta su un letto d'ospedale. Vi pare normale che dopo aver subito un'operazione la prima cosa che pensate di fare è scattarvi una foto e condividerla su Facebook? C'è poi quello che scatta la foto al proprio piatto e la condivide subito con tutti. C'è della pasta appena cotta che potrebbe raffreddarsi e invece di mangiarla subito, pensi a scattare la foto al tuo cibo, tu non sei sano di mente. Questi sono degli esempi di casi che scattano foto che non dovrebbero essere condivise, ma c'è il caso estremo di quello che si immortala sempre e condivide quei momenti con gli amici di Facebook. Come direbbe J-Ax e Fedez, ogni ricordo è più importante condividerlo che viverlo. Perché condividiamo i nostri momenti sui social? La risposta ve la potrebbe dare Raymond Carver.
E hai ottenuto quello che volevi da questa vita, comunque?
L'ho fatto.
E cosa volevi?
Poter dire a me stesso che sono amato, sentirmi amato qui sulla terra.
Ormai vediamo il mondo attraverso gli smartphone. Fa molto Black Mirror. I social network e gli smartphone hanno rovinato la fotografia? Ai posteri l'ardua sentenza. E se decidessimo di eliminare il nostro account di Instagram o quello di Facebook? O se il nostro smartphone si rompesse? E se avvenisse una tempesta elettromagnetica che distrugge ogni strumento elettronico in tutto il mondo. Per citare Roy Batty, tutti quei momenti andranno perduti come lacrime nella pioggia.
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